Neppure la Riforma Sanitaria del 1978 e le successive modifiche, l’introduzione dei LEA (Livelli Essenziali di Assistenza) sono ancora riusciti a colmare la disparità di offerta assistenziale (quantitativa e qualitativa) tra la Calabria ed il Centro-Nord con la conseguente cronicizzazione della migrazione sanitaria interregionale. Uno dei casi più eclatanti, ed oseremo scrivere scandaloso, è quello del centro di oncoematologia dell’ospedale Annunziata di Cosenza, un polo d’eccellenza in grado di diagnosticare e curare i tumori. Il punto di riferimento di un’intera regione e per le famiglie dei tanti bimbi malati oncologici. Dal 2020, invece, il centro di oncoematologia del nosocomio bruzio è stato soppresso, uno dei tanti reparti chiusi ‘momentaneamente’ per far fronte alla tempesta pandemica e mai riaperti.
La chiusura del centro di oncoematologia continua ad essere contestata anche dalle associazioni del territorio, come la Gianmarco De Maria, che dal 2002 assiste i piccoli degenti ricoverati presso l’ospedale e i loro genitori. Franco De Maria, Direttore dell’associazione che opera sul territorio non si arrende a una chiusura che costringe molte famiglie ai viaggi della speranza fuori regione, ma mentre prosegue la sua battaglia, di pari passo continua ad essere negato il diritto alla salute per i bambini calabresi. A confermarlo, ancora una volta, è una testimonianza, quella di una mamma costretta a far curare il suo piccolino a Roma.
“Buongiorno, mi chiamo …….. e sono la mamma di un Piccolo Grande Guerriero di 5 anni. Siamo di Cosenza ma in questa città purtroppo regna la malasanità e non abbiamo neanche un reparto di oncologia pediatrica. Ci siamo dovuti trasferire a Roma per curare il nostro bambino da quasi un anno ed era il periodo più buio per noi perché mio marito aveva perso anche il lavoro. Ad oggi andiamo avanti grazie all’aiuto di tante persone che ci sono vicino. Chiedo gentilmente se potete condividere il mio appello e la storia di Michele.”
Un reparto come quello di Cosenza non era un lusso, ma una necessità per l’intera regione. Con la chiusura, in molti, come la mamma di Michele, sono stati costretti a recarsi fuori regione per far curare i propri figli, con aggravio di costi e la difficoltà di conciliare i viaggi con il lavoro. Insomma, possibile che non si possa trovare una soluzione a questo grave fenomeno, vero e proprio “dramma” nel dramma per le famiglie e i bambini che lo vivono?
La chiusura del reparto cosentino di fatto costringe i bambini malati oncologici ad andare fuori regione, molti all’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma. La migrazione sanitaria pediatrica è un problema che affligge, purtroppo, molte famiglie calabresi, costrette a compiere veri e propri viaggi della speranza per stare accanto ai figli malati e ospedalizzati fuori regione. Se un bambino malato è costretto a ricevere cure lontano da casa, la famiglia si trova obbligata a dover fare i conti, oltre che con le preoccupazioni per la salute, anche con le difficoltà della distanza: dover lasciare la propria casa, trasferirsi in un’altra città, cercare una sistemazione almeno per tutto il periodo malattia e mettere in standby il proprio lavoro per seguire le cure. Il tutto con ripercussioni spesso molto pesanti anche da un punto di vista finanziario. Da non dimenticare che, queste famiglie svolgono un ruolo fondamentale nel percorso terapeutico del bambino e molto spesso hanno bisogno di supporto per stare accanto ai figli nel periodo di ospedalizzazione in un’altra città. Si tratta di un puzzle di estrema complessità tra cure da trovare, lavoro da preservare, famiglia che si allontana, stress e tensioni di ogni genere. Accanto a tutto questo c’è la paura di non farcela, di non poter pagare tutto, di fallire anche nel supporto alla guarigione.
La soluzione ci sarebbe: riaprire il centro di Cosenza, ma a quanto pare, non interessa affatto a chi potrebbe e dovrebbe intervenire!