Mer 1 Mag 2024
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La società del banale e dei mostri interiori

La società in cui viviamo sembra sia invasa da una molteplicità di mostri ai quali l’essere umano si arrende e ne diventa succube o nella peggiore delle ipotesi una sorta di braccio armato.

Non dobbiamo immaginare il mostro come qualcosa di grottesco; piuttosto come una delle variabili di cui è composto lo spettro emozionale.

Esso, infatti, non necessariamente deve provenire da qualcosa di esterno e di estraneo, ma il più delle volte è un aspetto silente della personalità dell’individuo, pronto a prendere il sopravvento a causa di un “fattore scatenante” (la classica goccia che fa traboccare il vaso).

Con questo non si vuole certo giustificare l’orrore e la tragedia, ma più che altro vuole essere una riflessione di quanto, a volte, sia banale ed insensata la motivazione che spinge a fare del male ad un’altra persona.

Quotidianamente ascoltiamo o leggiamo di efferati delitti, di atti di violenza verso chi viene considerato per convenzione più debole.

E poi si può uccidere un altro solo perché, senza conoscere niente di lui, lo si vede felice? Un bersaglio tra tanti scelto a caso solo perché ha sorriso.

La riduzione della vittima in bersaglio da colpire sta alla base della concezione estremizzata del corpo-oggetto. Il bersaglio è qualcosa di inanimato, senza emozioni, freddo e statico. Avviene, così, una scissione tra il corpo visto come oggetto e la vitalità dell’individuo che viene accantonata. Il corpo dell’altro come qualcosa di cui disporre a proprio piacimento nel bene e nel male.

Il rapporto carnefice-vittima, il più delle volte, è scandito dalla posizione di potere che il primo esercita sul secondo che si trova su un piano di impotenza e in alcuni casi (come la violenza sulle donne) di terrore e paura. Una sorta di sudditanza, da cui è difficile trovare una via di fuga praticabile e sicura.

La vittima perde d’identità, viene spersonalizzata, una cosa tra le tante. L’aguzzino molte volte ha sì il volto dell’insospettabile, ma è un soggetto alienato (o autoalienato), che finge normalità fino a quando non regge più la situazione nella quale è immerso. Affiora tutta la sua frustrazione repressa, getta la maschera e in qual modo capitola davanti al proprio mostro interiore. Citando Marcuse e il suo “L’uomo a una dimensione”: «Il soggetto dell’alienazione viene inghiottito dalla sua esistenza alienata». Proprio ciò che accade nella mutazione che porta un “cittadino al di sopra di ogni sospetto” a vestire i panni del boia.

È una società dell’abitudine quella in cui viviamo in cui il riprovevole ordinario s’impossessa della realtà. E gli spettatori per bombardamento mediatico si abituano a tanta atrocità, si stancano, cambiano canale in cerca dell’estraniazione e dello svago a tutti i costi.

C’è bisogno di una riflessione seria su quanto accade intorno a noi. Su come la violenza, negli ultimi tempi, ci stia rubando spazi di serenità e speranza. Su come sia divenuta una consuetudine alla quale non dare molto peso perché all’ordine del giorno.

In questo tipo di società continuare ad interrogarsi sui fatti rimane l’unico atto tangibile per non adattarsi e non giustificare tanta ferocia .

Impariamo, allora, a disabituarci perché l’odio insensato non diventi quotidianità universalmente accettata.

Chantal Castiglione