“Popecast”, il Papa si racconta in un podcast realizzato dai media vaticani nel decennale del pontificato: “Non pensavo che sarei stato il Papa nel tempo della Terza guerra mondiale”. “Il momento più bello? L’incontro con i vecchi a San Pietro. Quello che non avrei voluto vedere sono i ragazzi morti per i conflitti”.
Il Papa che fa ripartire la Chiesa dalla spinta in avanti del Concilio Vaticano II, e che ne promuove la “conversione pastorale” e “missionaria”, oltre che, in quest’ultimo biennio, nel segno della “sinodalità”.
Se un nucleo centrale si può rintracciare nei dieci anni di pontificato di Francesco, è in queste pulsioni innovative, che però trovano salda radice proprio nello spirito “conciliare”, nondimeno ancora non ben digerito, anzi contrastato, da larghe fasce conservatrici dell’arcipelago ecclesiale.
Uno spirito, tra l’altro, che nell’ottica di Francesco, si rifà alla “radicalità evangelica” e all’anima della “Chiesa degli inizi”, in tutti i suoi risvolti: dall’amore per il prossimo alla sobrietà e allo spogliarsi di ogni orpello mondano e simbolo di potere, dall'”opzione preferenziale per i poveri” alla missione “evangelizzatrice” cui è chiamato ogni battezzato, in quel “sinodale” camminare insieme in cui non ci sono più rigide distinzioni tra chierici e laici.
Fino all’atteggiamento della “misericordia”, che per Francesco costituisce il marchio di fabbrica del cristianesimo, cui ha dedicato un Giubileo straordinario e che nel suo pontificato è diventato persino “una forma dell’agire politico e diplomatico”, come ricordava padre Antonio Spadaro in un saggio su Civiltà Cattolica nel febbraio 2016.