di Alessandro Massimilla
“Shakespeare, Beckett, i Fratelli Lumière…”. Potrei limitarmi a scrivere un elenco di nomi illustri e spacciare l’elaborato come “estratto del manoscritto del secolo sulle arti teatrali e cinematografiche” e poi, magari, aggiungere, persino, un titolo impressionante. Pensavo al seguente: “Radici del Teatro. Pionieri del Cinema”. No! Non voglio riempire pagine su pagine di nozioni, comprensibili solo da un pubblico di nicchia. No! Voglio esprimermi con una scrittura capibile anche dal più umile degli uomini: la scrittura che deriva dalle emozioni pure.
Voi sapete bene cosa fa’ l’attore, giusto? L’attore si piazza su di un palco dinanzi ad un pubblico e, recitando un monologo, o, se affiancato da un partner, un dialogo, dà sfogo alle emozioni che fa trasparire attraverso il personaggio che egli interpreta. E lo spettatore ride o piange. L’intrattenitore ha recitato, si è donato al pubblico con tutto sè stesso e ha creato un flusso incredibile di emozioni intense che si è fatto largo nel cuore di tutti coloro che, per qualche ora, si son ritrovati in teatro. E lo stesso, anche se non in veste di attore, tocca fare al sottoscritto.
Sono tempi duri in cui l’arte è sottovalutata, in cui l’artista è bistrattato, visto come un pover’uomo con il folle obiettivo di campare di musica, recitazione e scrittura. Ma cos’è la vita senza un pizzico di colore che solo l’arte nelle sue diverse forme può dare? Ho la risposta: è un girone infernale che Dante non ha inserito nella Divina Commedia; un luogo misero, buio, monotono e privo di ogni forma di bellezza dove i “peccatori” sono sottoposti per ore ed ore alla pena del “non avere inventiva e del non essere creativo”.
Voi lo immaginate un mondo senza le opere teatrali di Eduardo De Filippo, senza “I Vitelloni” di Fellini, senza la comicità unica del grande ToTò? Ebbene, se ci riuscite, vuol dire che avete una mente grigia ed un’anima che non sa ridere. Ma non è colpa vostra, specialmente se fate parte della mia generazione, la Zeta.
Cari miei coetanei, è vero: noi siamo coloro che hanno voglia di riscatto, di scegliere il lavoro dei propri sogni e di allontanare lo spettro del posto fisso ma, parliamoci chiaro, davvero abbiamo in testa di realizzarci nella vita pensando di far successo grazie al cellulare? Siamo messi male. L’illusione di vivere di likes ci sta rendendo apatici e sciocchi, schiavi di un sistema che ci promette denaro e fama in cambio di qualche foto online. Allora come ci riscattiamo? Di certo non con lo smartphone ma, ci possiamo sollevare le maniche e spremere le meningi e dare vita a qualcosa di bello. A questo punto, avendo letto quest’ultimo passaggio, qualche ventenne – quindi mio coetaneo– potrebbe chiedermi: “Alessà, e che ti realizzo?”. “Che mi realizzi?”, ma che domanda è? Crea, componi, scrivi. E il ragazzo potrebbe rispondermi: “E ma io non so fare granchè, non ho neanche una misera idea”. Ed io: “Hai mai letto quella frase…”. E lui: “Ale, mi è venuta l’idea!”.
Le idee ci sono, è solo che ci siamo dimenticati come si usa il cervello, come si producono queste idee. Scorrere i polpastrelli – anzi il polpastrello, solo uno, perché fare andare su e giù per lo schermo due pollici, è stancante- è facile, e vedere la notifica che arriva ci fa rilasciare serotonina e quindi siamo soddisfatti. Felicità in pillole digitali, ma che, veleno tecnologico in compresse di gratificazione istantanea letali per il potere immaginifico. SVEGLIA! Le idee non mancano, si sono sbiadite perché dimenticate in qualche angolino del cervello e lasciate a morire. Strizzate la spugna che è il cervello, qualcosa di buono ne esce di sicuro.
Di chi è la colpa? Ribadisco non è nostra, o forse, è solo in parte nostra: in fin dei conti siamo sempre noi ad acquistare l’ultimo modello di cellulare che promette prestazioni surreali e la misurazione della pressione sanguinea. “Annamo bene!”, direbbe la Sora Lella. A’ Sora Lè, nun ce fa’ caso, so’ ragazzi e so’ pure adulti grandi, grossi e vaccinati. Te posso dì che siamo vittime del tiranno “Tecnologia” ma forse è meglio che nun te dico niente, te lascio riposà che te c’hai dato tanto e te meriti la tranquillità.
E talmente siamo imbambolati che non ci rendiamo conto che siamo costantemente spiati. E già. Siamo monitorati giorno dopo giorno da “CHISSA’ CHI” che sta’ dietro lo schermo dello smartphone. Noi diamo le autorizzazioni a… e LUI si fa una bella scorpacciata di fatti nostri.
Per farla breve: siamo senza privacy, con la creatività che se ne sta andando a farsi benedire e con una società pessima, senza valori.
“Possiamo pensare liberamente?” No, ma che ti sei ammattito. Non pensarci proprio. Hai mai visto Fantozzi? uno dei suoi film in particolare, non ricordo il titolo. Fatto sta’ che, lo sfigatissimo Rag. Ugo Fantozzi, nella pellicola, non ha diritto a pensare ciò che vuole, altrimenti, il frutto della sua mente si proietta nel cielo azzurro, cosi da rendersi visibile a tutti. E tu pensi che oggi le cose siano cambiate? Ma va la’! Se scrivi in un modo sei di destra, se scrivi in un altro sei di sinistra. Fai prima a non esprimerti proprio.
Non c’è quella che io chiamo “Educazione al Bello”. ESEMPIO: “una famiglia va al ristorante, un marito, una moglie e due bambini. I bambini vengono piazzati dinanzi al tablet. “Cosi non rompono e mangiamo tranquilli”, dice il marito alla moglie. Bravi! Avete dato una bella lezione ai vostri figli e cioè che a tavola si guardano i cartoni animati e non si parla. Avete educato al bello. Che vergogna! E se proprio dovete tenerli buoni perché diavoli della Tasmania, almeno date loro un libro da colorare. Insegnate loro a comunicare, a rapportarsi con gli altri, a discernere il bello dal brutto. Educate al bello!
Ah già, forse mi sto perdendo, il tema era la fame d’arte. Allora, bisogna precisare una cosa, ho una domanda: “È una fame d’arte intesa come penuria di cultura o intesa come voglia di saperne sempre di più?”. Bè, io mi auguro che sia la seconda fame, e che la società non sia mai sazia di cultura perché, alla luce di quanto suddetto, c’è davvero bisogno di ARTE.
BASTA CON LA MANCANZA DI TEATRO, CON LA SICCITA’ DI OGNI ALTRA FORMA DI BELLEZZA, ALTRIMENTI VI SARANNO CONSEGUENZE SPIACEVOLI.