Ven 1 Dic 2023
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Il fuoco divora un’altra esistenza

Cercasi umanità. O, meglio: “umanità, questa sconosciuta”. Sarebbero dei titoli che ben descrivono l’immane tragedia di chi muore arso vivo, nella nuova baraccopoli di San Ferdinando. Si chiamava Sylla Noumo, senegalese di 32 anni. Il rogo è divampato all’alba, poco prima delle sei. Il giovane era stato trasferito nella nuova struttura dopo l’abbattimento della vecchia tendopoli avvenuta il 7 marzo.

Il corpo completamente carbonizzato, la rabbia degli altri abitanti, il silenzio e quelle mani poggiate sul mezzo funebre che conteneva i resti del giovane, quasi ad accompagnare o a trattenere una vita spezzata dalla non curanza e dall’emarginazione e ghettizzazione forzate. Morire carbonizzati a 32 anni con i sogni ancora aperti negli occhi, le speranze di mondi colorati oltre il grigio delle sbarre che relegano alla sopravvivenza. De Andrè avrebbe cantato di loro in una ipotetica nuova versione delle sue “Anime salve”, anime migranti.

Nominare le vittime assurge ad un ruolo importante, laddove gli individui vengono considerati alla stregua di numeri, agnelli sacrificali sull’altare del profitto di pochi. Nominare Sylla Noumo (ultimo di una lunga serie di “morti accidentali” della disumanità e della pochezza della maggioranza) vuol dire restituire al suo vissuto quella dignità e quella compiutezza di essere vivente che gli è stata tolta. Dignità, rispetto, umanità, vita.

Si sta verificando una mutazione antropologica dell’uomo. Una sorta d’involuzione indotta. Non vedere nell’altro un essere umano fa da preludio all’avanzata di un nuovo fascismo, ma che nelle metodologie e tematiche strizza l’occhio più di una volta a quello che è stato il vecchio.

Il razzismo, prendendo in prestito le parole di Pasolini, è il cancro morale dell’uomo moderno e, come il cancro assume diverse forme. È l’odio che nasce dalla prepotenza della maggioranza, dal conformismo. E aggiungerei io il razzismo è la viltà di chi si sente padrone, a torto, delle vite degli altri, delirio di onnipotenza della maggioranza, quella gretta e silenziosa che si volta dall’altra parte. La tipica espressione del razzista moderno è: «Non sono razzista, ma…». La banalità e la cultura discriminatoria del “ma”.

San Ferdinando, il Mar Mediterraneo, i nuovi ghetti, la caccia al diverso, le “dittature democratiche”, i golpe pilotati, i nuovi muri, le frontiere, la Libia, i porti chiusi, l’indifferenza complice, uno Stato che decide di abbandonare interi territori. Forse i cancelli ad Auschwitz son stati immediatamente richiusi dopo il 27 gennaio 1945. Nuovi forni crematori, nuove fosse comuni; di nuovo numeri marchiati a fuoco sulla pelle; di nuovo carne da macello sulla quale condurre esperimenti, torture, sevizie, riduzione in schiavitù; di nuovo popoli da terrorizzare, schedare e annientare. L’orrore non è mai finito si è solo evoluto, trasformato e reso più politically correct.

 

La politica non ne esce di certo bene da tutto ciò. Una politica che fomenta l’odio verso chi, per luoghi comuni e pregiudizi, viene considerato diverso. L’allarmismo costante e martellante al grido di “prima gli italiani” e “chiudiamo i porti”. Le passerelle elettorali a solo fine propagandistico.

Invece soprattutto noi calabresi, noi Sud dovremmo aprire le braccia ed essere accoglienti. Noi che siamo sempre stati Sud di qualcuno o di qualcosa (usando la parola Sud in senso dispregiativo naturalmente). Umiliati, derisi, allontanati. Noi: quelli sporchi, piccoletti, approfittatori e cattivi ora riversiamo la banalità del male su coloro che vengono dal mare. Viviamo di stereotipi, noi che siamo sempre stati vittime di essi. I terroni ora per non sentirsi chiamare più così diventano i nuovi inquisitori razzisti alla mercé di una politica che vuole creare solo divisione e repressione.

Ma allora cosa ricade nella normalità e cosa nel diverso? La normalità non è altro che un punto di vista chiuso, un incasellamento nello spento conformismo che ammorba la quotidianità. La diversità, invece, è il raggomitolarsi di narrazioni dissonanti ma potenti, capaci di far germogliare estrosità e particolarità proprie di ogni singola soggettività.

Ciao Sylla Noumo e scusaci per quello che ti abbiamo fatto. Scusaci per la tua morte così assurda. Prova a perdonare questa terra ingrata ed arida che ti ha strappato alla vita e alla scoperta, che ha cancellato i tuoi sogni e le tue speranze. Ciao Sylla Noumo, “anima salva”.

Chantal Castiglione