Oliverio travolto da un insolito destino in un azzurro mare d’agosto

Mario Oliverio e Nicola Zingaretti
Mario Oliverio e Nicola Zingaretti

Che le sorti del governo giallo-verde potessero precipitare così in fretta forse solo qualche attento osservatore poteva immaginarlo. Di certo battibecchi e malumori erano all’ordine del giorno, ma cos’è la politica se manca il confronto? Ben venga anche lo scontro, se è costruttivo e funzionale. Ma quelle tra Di Maio e Salvini non erano più da tempo trascurabili scaramucce tra fidanzati.

Chi è stato colto di sorpresa dalla crisi di Ferragosto è senza dubbio il Pd. Impegnato dall’ennesimo braccio di ferro interno, carro trainato da cavalli che puntano ognuno in una direzione diversa, la compagine si scioglie in mille rivoli. C’è Renzi, che vuole dialogare con i Cinque Stelle, Calenda che minaccia scissione e Zingaretti a fare da ago della bilancia di un partito che è uno, nessuno e centomila. Ma la politica attendista e prudente non si addice alla crisi, e presto bisognerà decidere se trattare con Di Maio o consegnare il paese a Salvini e alla Lega.

E se a Roma regna il caos, il Pd calabrese non naviga certo in acque tranquille. E se c’è chi come Magorno è impegnato a sorseggiare acqua di mare per garantirne la salubrità, c’è anche chi, come il presidente Oliverio, bocciato senza appello dalla troika del partito, rimane arroccato sulle sue posizioni, per nulla intenzionato a farsi da parte.
Nessuno ne chiede le dimissioni, alle nostre latitudini non è uso e tradizione mollare la poltrona, ma il governatore non è disposto a retrocedere neanche di un millimetro. Anzi. Convinto di poter fare il pieno di consensi, chiede che il partito vada alle urne per scegliere un candidato interno da schierare alle elezioni regionali ormai prossime.

Eppure nelle scorse settimane il responsabile dem per il Sud Nicola Oddati, molto vicino a Zingaretti, è stato più che chiaro. Oliverio non sarà il candidato del Pd alle prossime consultazioni. C’è bisogno di nuovo. C’è bisogno di una scossa. La base reclama una rivoluzione interna alla compagine, che spazzi via le vecchie dinamiche da circolo di bocce e restituisca credibilità ad un progetto politico coerente e unitario.
Passaggio che, anche su questo punto la segreteria nazionale è stata chiara, non può passare attraverso le forche caudine delle primarie che finirebbero per rinvigorire vecchi rancori e creare nuovi fronti di scontro interni al partito.

Ma in Calabria è già iniziata la resistenza. I fedelissimi del governatore alzano gli scudi e aprono un muro contro muro con la dirigenza nazionale che avrà come effetto immediato un’ulteriore frattura interna. Non una semplice crep, ma una faglia, che rischia di trascinare i dem nell’ennesima lotta fratricida, dando gioco facile alle aspirazioni dei candidati di destra, primo fra tutti il sindaco di Cosenza Mario Occhiuto, anche lui coinvolto in più di un’inchiesta, anche lui intenzionato a rilanciare.

Ma a chi gioverà questo atteggiamento di chiusura? Non certo agli elettori calabresi, siano essi ferventi grillini o irriducibili fratelli d’italia. A forza di strappi interni, il cerino dovrà per forza rimanere in mano a qualcuno. E questo qualcuno saranno i calabresi. Non i politici, ma i cittadini. Quelli che ogni giorno fanno i conti con disservizi e inefficienze, quelli che costantemente si ritrovano a raccogliere i cocci di un sistema che continua a drenare denaro pubblico per fini privati senza fare risposte né fornire servizi.
Un sistema che rischia di consumare se stesso nell’ennesima, sterile, polemica di palazzo tra sostenitori e detrattori di Oliverio, tutti concentrati a guardare il dito avendo perso da tempo perso di vista la luna. Che intanto sorge e tramonta su una realtà martoriata, relegata agli ultimi posti di ogni classifica di vivibilità e sviluppo, soggiogata alle mafie e depauperata dalla fuga di braccia e cervelli verso una normalità negata, verso un nord che appare sempre più lontano.

Loredana Colloca

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