La XXV Edizione della kermesse cerisanese s’è conclusa sabato sera, in un’apoteosi di pubblico, Colori, Arte e Grande Musica.
Da Cerisano
“L’arpa e il pianoforte costituiscono un duo molto particolare: scrivere per una formazione composta da pianoforte e arpa è una cosa difficilissima, essendo due strumenti che, in un certo qual modo, non collimano bene; nessuno dei due, infatti, canta in una maniera prettamente lirica, producendo entrambi dei suoni di una durata relativamente limitata. Tuttavia, entrambi, a modo loro, possono cantare liricamente: il problema è metterli insieme”: il maestro Vincenzo Palermo, noto compositore e docente presso il Conservatorio di Cosenza, oltre a saper esperire l’arte della composizione e a insegnarla alle sensibilità che hanno scelto la musica quale prospettiva esistenziale e professionale, sa parlare della complessità inerente all’elaborazione compositiva anche a coloro i quali si rapportano con la dimensione musicale dall’esterno rispetto all’empireo creativo, pervasi unicamente dalla passione per questo sublime linguaggio universale, dettato fuggevolmente dalle muse all’eletta ispirazione degli autori e capace di arrivare impetuosamente in fondo ai nostri cuori; e tale capacità, il maestro Palermo, l’ha prodigalmente esternata anche sabato sera, nel presentare l’ultimo concerto previsto nell’ambito della rassegna “Musica Oggi e Domani”, che, all’interno della Sezione Classica del XXV Festival delle Serre, ha proposto al pubblico, recatosi numeroso in Palazzo Sersale nelle serate comprese tra il 2 e l’8 settembre, un repertorio proteso verso le sensibilità e sonorità musicali germinanti nel nostro tempo e orientate sul prossimo futuro, al cui stile, alle cui armonie, al cui linguaggio faremo certamente l’abitudine, non rinunciando, in ogni caso, a cercare, nel cammino verso questa nuova frontiera di genio ed estro, un filo che tenga legati i nuovi modi di fare musica alla preziosa essenza melodica, in cui consta l’identità artistica e musicale italiana. Un’identità che troverà certamente linfa nel lavoro che il maestro Palermo sta profondendo in seno al Laboratorio OGOI, Officina Giovane Opera Italiana, da lui guidato e con cui il curatore della predetta Sezione festivalera, maestro Massimo Belmonte, ha attivamente collaborato, nel definire la programmazione della stessa, che, come nel caso del concerto conclusivo, riservato all’incanto dell’arpa di Albarosa Di Lieto e del pianoforte di Ilaria Ganeri, ha dato spazio alle composizioni di autori a noi coevi, veicolanti stili fra loro completamente diversi, in una pluralità di linguaggio che ha reso i concerti diversificati, ricchi e accattivanti; varietà e fascino che sabato sera hanno portato sul proscenio le perle sonore scovate, dal miracolo della creatività, nella tempra di autori, tutti viventi, come Fabio Mengozzi, Vincenzo Palermo, Lodi Luka, Francesco Perri, Stefano Ottomano e Tommaso Greco, due dei quali, ovviamente lo stesso Palermo, dal cui repertorio è stata tratta ed eseguita la bellissima Marble White textures, e il cerisanese Greco, hanno presenziato al concerto, durante il quale due brani, di cui uno del giovane e valente maestro di Cerisano, hanno avuto pubblica esecuzione per la prima volta in assoluto. Esecuzioni, queste, portate e adagiate sui sensi dei presenti dalle corde di due strumenti, arpa e pianoforte, che, come già scritto, non si prestano agevolmente a un’interazione compositiva ed espressiva, “anche perché – ha spiegato il maestro Palermo – hanno una velocità di risonanza molto diversa; del resto, il pianoforte è molto più sonoro dell’arpa. In altre parole, il compositore che si appresta a comporre musica ad hoc per questa formazione si ritrova davanti a una selva di difficoltà, per affrontare la quale occorre esperienza e sensibilità; soprattutto, occorre che il proprio stile personale vada a collimare con le esigenze di questa formazione, che, per inciso, in passato era circondata da un’aura d’impossibilità. Va da sé che è molto difficile trovare composizioni riservate a tale duo nel repertorio classico-romantico. Col tempo, invece, e con un po’ di buona volontà, si sono colte le enormi possibilità che questa formazione può offrire, soprattutto rispetto agli stili, ai linguaggi musicali più recenti, quali il minimalismo e altre forme di sperimentazione, nel cui ambito questi due strumenti, messi insieme, hanno prodotto dei risultati molto interessanti”. Risultati che sabato sera hanno sovente fatto capolino, in un concerto connotato da attente costruzioni armoniche e accenni onomatopeici, con carezze melodiche offerte in alcuni brani, eseguiti magistralmente da arpista e pianista, le quali hanno degnamente completato il repertorio di una rassegna “verso cui – ha evidenziato Palermo, il quale ha coordinato la programmazione moderna del cartellone – gli organizzatori, che ringrazio, hanno mostrato coraggiosa attenzione. Su tutti, ringrazio il maestro Massimo Belmonte, che ha reso palese una sensibilità rimarchevole e un coraggio non comune, nel propormi di metter su un programma di questo tipo. Una sensibilità e un coraggio che sono stati premiati da un notevole seguito di pubblico, con manifestazioni d’interesse e, in alcuni casi, di non scontato entusiasmo”. Un grande successo, insomma, da ascrivere anche al succitato Laboratorio OGOI, alle cui attività hanno partecipato molti degli autori inseriti nel programma della Sezione; un laboratorio che è, ha asserito, nei giorni scorsi, Palermo, nel corso di un’approfondita intervista radiofonica rilasciata alla bravissima Raffaella Aquino, “l’emanazione di un’azione, sia didattica, sia artistica, che sto conducendo da anni: comporre musica oggi significa, come nell’ottocento, incidere nella società. In tal senso, io ho scelto, per la mia attività, la caratterizzazione attraverso l’Opera lirica, credendo fermamente in questo prodotto tipicamente italiano, che è in via di recupero, come stanno attestando varie manifestazioni, che, sempre più spesso, propongono all’uditorio l’Opera da camera, eseguita con pochi strumenti, unitamente all’Opera lirica maggiore, la cui esecuzione è affidata, invece, alla grande orchestra sinfonica. Ecco, piuttosto che proporre Opere famose, eseguite da orchestre ridotte, noi pensiamo sia opportuno promuovere la produzione apposita di nuove musiche, di tematiche più vicine ai giorni nostri, che possano dialogare con il pubblico e, nel contempo, costituire anche una forma di ricerca artistica, divulgante un messaggio culturale alto. Vogliamo, insomma, attraverso queste musiche e tematiche vicine alla nostra sensibilità e ai nostri giorni, raccontare le storie, narrarle col linguaggio dei suoni, del canto, dei testi, dei libretti, e, lasciando per strada ogni orientamento concettuale, in modo da abbracciare svariati filoni compositivi, catturare l’attenzione della platea contemporanea, posta oggi sotto un ombrello culturale di stampo manieristico, che comprende tanti linguaggi e tante idee. In questo senso, l’Opera lirica può essere il terreno fertile ove coltivare una matrice che sia popolare e anche culturale; uno spazio lussureggiante, ove includere, con un approccio modernissimo contemperante le novità a codici e strumenti classici, altre forme espressive, come la musica da film, il musical, il recitativo e il teatro in musica, fondere il tutto e fare in modo che si possa proporre quello che si crea, come avvenuto a Cerisano, nella sezione che, apro una parentesi, adotta un label, Classica, forse non più adatto a indicare esaustivamente la varietà di un genere tanto articolato; genere che la SIAE, in attesa di trovare una valida alternativa terminologica, indica con un’altra etichetta, a mio parere ancora non proprio pertinente, ovvero Musica Seria. In ogni caso, all’interno dell’Opera lirica moderna possiamo avere, come succede nel musical, il Teatro, la Danza, la Recitazione, in una prospettiva strutturale più dinamica, rispetto all’Opera lirica del passato che, ovviamente, è una forma d’Arte fondamentale, di cui, peraltro, l’Italia detiene la primogenitura, cosa che non dobbiamo dimenticare, perché se l’Italia è famosa nel mondo lo si deve all’Opera Lirica, a Verdi, Puccini, Bellini, Rossini; un fattore, questo, che ci deve incentivare a prendere in considerazione proprio la matrice dell’Opera Lirica e, soprattutto, una delle sue caratteristiche principali, che è la capacità di comunicare qualcosa, la voglia di raccontare storie, rapportandole ai momenti che viviamo. Insomma, noi, con i nostri studenti, col nostro lavoro, con il linguaggio di oggi, con il sentire di oggi, con le sonorità di oggi, di cui non tralasciamo niente, arrivando a toccare pure il pop, vogliamo soprattutto raccontare nuove storie”. Storie che quest’anno hanno riempito le pagine di quel grande libro della bellezza che è il Festival delle Serre; un libro che la fantasia e l’ispirazione, il valore e i valori sfogliano e scrivono da venticinque anni e che, sempre nella serata di sabato, all’interno della Sezione Jazz, è stato vergato dalla prodigiosa voce della cantautrice Elisa Brown, la quale, accompagnata dal pianoforte e dall’armonica di Paolo Chiaia, dalla chitarra di Lorenzo Iorio, dal basso di Alessio Iorio, dalla batteria di Francesco Borrelli, dal sax di Andrea Paternostro e, al termine del concerto, dal pianoforte di Giuseppe Zangaro, s’è abilmente destreggiata tra timbri siderei e ritmi jazz, pop, soul, blues, coronando in aureo modo una kermesse che, iniziata sei giorni prima con la lirica magia promanata dalla Classica, alitata da quella splendida premessa che è stata Cavalleria Rusticana, ha attraversato le serate settembrine di un borgo suggestivo, tra musica, pièce in prosa, teatro dei burattini e dibattiti, in un caleidoscopio artistico e culturale da cui s’è potuto constatare come, sia per il Festival, sia per la realtà cittadina, nel suo complesso, la strada ripresa sia quella buona: il livello degli spettacoli è stato eccelso, così come il riscontro di pubblico; il resto andrà sempre di più migliorando, adeguandosi alla vetta di eccellenza che quest’anno gli Artisti ci hanno regalato e che è consona alla tradizione cerisanese e al suo pedigree tanto invidiato. E, c’è da esserne certi, siamo solo all’inizio, perché, parafrasando il maestro Vincenzo Palermo, le “nuove storie” che Cerisano e il suo Festival delle Serre vogliono continuare a raccontare sono infinite, sono fatate, sono uniche
Pierfrancesco Greco



