Sab 1 Apr 2023
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Navigator, protesta a Catanzaro: “Dignità per la nostra categoria”

Hanno studiato, partecipato e vinto un concorso nazionale e sono assolutamente impegnati, quotidianamente, sul “campo”. Tra “profilazioni”, telefonate, incroci domanda/offerta e controlli. Sono i 168 navigatori calabresi, poco meno di tremila in Italia, che hanno deciso di protestare dinanzi la prefettura di Catanzaro, insieme alle tre confederazioni sindacali.

Le motivazioni? Il contratto in scadenza il prossimo 30 aprile. Nidil Cgil, Felsa Cisl e Uil Temp hanno deciso di scendere in piazza, contemporaneamente sotto Palazzo Montecitorio a Roma e sotto le prefetture dei capoluoghi regionali in tutti gli altri territori, per ribadire sostanzialmente due cose: continuità occupazionale e valorizzazione della professione. “I navigator rivendicano la possibilità di continuare a lavorare, come hanno sempre fatto anche in periodo di piena pandemia. Sono stati formati, hanno appreso il funzionamento dei centri per l’impiego regionali, hanno supportato gli stessi centri per l’impiego in ogni attività relativa al Reddito di Cittadinanza, hanno assistito una media di circa 500 beneficiari ciascuno e solo dallo scorso settembre hanno finalmente potuto avviare il raccordo con le imprese.

Un rapporto che, non solo veniva paventato da Anpal – Agenzia Nazionale Politiche Attive del Lavoro – da tempo, come pietra miliare della riforma epocale delle politiche attive che avrebbe dovuto investire il nostro Paese già da diverso tempo, ma che, soprattutto, ha segnato un punto di rottura rispetto al passato”, si legge in una nota.

“Mai prima di oggi era accaduto che fosse il Centro per l’Impiego a contattare direttamente le imprese: queste ultime preferivano rivolgersi a canali privati o ad agenzie per il lavoro. Oggi, finalmente, la macchina pubblica si è rimessa in moto e ciò grazie alla presenza di più di 2700 lavoratori inseriti nei centri per l’Impiego che supportano quotidianamente un lavoro altrimenti impossibile a causa della carenza di personale che affligge i Centri per l’impiego. Una carenza a cui molte regioni hanno cercato di supplire tramite concorsi ad hoc, ma che non si è rivelato sufficiente per il potenziamento del mercato del lavoro”, la legittima recriminazione.

Insomma, attività che i Navigator hanno svolto con estrema professionalità fino al giorno in cui, improvvisamente, è stata annunciata una pandemia mondiale. Uno scenario fuori da ogni immaginazione è quello che si sono trovati a fronteggiare non solo i Navigator, ma ogni altro lavoratore italiano. Le conseguenze di questo periodo, non ancora terminato, sono sotto gli occhi di tutti. La crisi economica imperversa e il lavoro è la prima cosa che le aziende devono tagliare se vogliono sopravvivere.

“L’altissimo costo del lavoro che le aziende italiane devono sopportare scoraggia già normalmente nuove assunzioni, figuriamoci ora in periodo di pandemia. Un freno a tale situazione catastrofica è stato ipotizzato dal governo con il blocco dei licenziamenti. Ma è evidente che si tratta di una situazione pronta ad esplodere, di un’autentica bomba sociale a cui si cercherà di rimediare con tutte le tipologie di ammortizzatori sociali, compreso il Reddito di Cittadinanza”, hanno affermato durante la pacifica presa di posizione.

Ecco, immaginiamo il Reddito di Cittadinanza senza i Navigator: “avremmo solo una politica passiva di sostegno al reddito senza una politica di sostegno all’occupazione. Si è detto di “sostegno”. È ora di abbandonare l’idea che i Navigator “creano” o “trovano” posti di lavoro. La creazione di posti di lavoro è una prerogativa dello Stato. Migliorare il Pil italiano, aumentare i posti di lavoro, ridurre il costo del lavoro, creare nuove politiche di welfare, questo è il compito che lo Stato deve attuare. Non i navigator che, invece, devono occuparsi di favorire (e non garantire, anche questo è compito delle Regioni!) l’incrocio tra la domanda e l’offerta”.
Ad ogni modo i Navigator non sono scesi in piazza soltanto per rivendicare una prosecuzione di tutte quelle attività già profondamente martoriate a causa della situazione economica, pandemica e burocratica vigente, ma anche “con lo scopo di dare dignità ad una categoria di lavoratori che paga l’unico scotto di essere figlia di un preciso disegno politico, non condivisa da ogni partito. Sì, perché questi lavoratori sono stati caricati erroneamente di aspettative non conformi alla realtà e hanno finito per subire esclusivamente una campagna mediatica denigratoria della loro vera professionalità. Non è dato sapere quale sarà la sorte di questi lavoratori.

Certo è che si tratterebbe di un fallimento per lo Stato italiano e di un autentico sperpero di risorse, talmente grave da poter inficiare il corretto funzionamento dei mercati del lavoro regionali, specie in virtù della grave crisi economica che questa pandemia sta portando con sé”.